E’ lecito l’accordo con cui il lavoratore abbia pattuito con il proprio datore di lavoro una maggiore durata del periodo di preavviso in caso di recesso.
Con una recente pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la liceità della clausola del contratto individuale di lavoro che preveda una maggiore del preavviso nel caso di recesso dal rapporto da parte del lavoratore maggiore rispetto a quella del CCNL applicato al rapporto.
Nella fattispecie in questione un lavoratore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 717/2011 della Corte di Appello di Bologna che aveva ritenuto la legittimità del patto di prolungamento (a dodici mesi) del periodo di preavviso, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni. La Corte territoriale motivava la sua decisione rilevando che la contrattazione collettiva (CCNL del credito) attribuiva alle parti individuali la facoltà di concordare un termine di preavviso diverso e maggiore a quello (di un mese) stabilito in sede nazionale e tale pattuizione era da considerarsi legittima a fronte del corrispettivo di un avanzamento di livello e del riconoscimento di un assegno ad personam di allora lire 300.000 lorde al mese al mese per tredici mensilità.
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18122 del 15.9.2016, ha confermato la sentenza impugnata rilevando che è lecito, mediante accordo individuale, pattuire una maggior durata del preavviso in quanto tale pattuizione può giovare al datore di lavoro, come avviene nel caso in cui non sia agevole la sostituzione del lavoratore recedente, ed è sicuramente favorevole anche al lavoratore, il quale resta avvantaggiato dal computo dell'intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute, (cfr. anche Cass. n. 5929/79).
Nel medesimo senso è stato ritenuto (cfr. Cass. n. 18547/2009; Cass. n. 17817/2005) che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto e che non contrasta pertanto con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all'esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima; inoltre, la medesima clausola non rientra neppure in alcuna delle ipotesi di cui all'art. 1341 c.c. , comma 2, per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto.
Il principio sopra esposto è stato ribadito ancor più di recente (Cass. n. 17010/2014), affermando che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una durata minima dlel’impiego, che comporti, fuori dell'ipotesi di giusta causa di recesso di cui all'art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente prima del tempo.
Alla luce di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione ha affermato che l'ordinamento rimette alle parti sociali, ovvero alle stesse parti del rapporto, la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alle proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata.
In tale contesto, la durata legale o contrattuale del preavviso è dunque derogabile dall'autonomia individuale in relazione a finalità meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, quale quella per il datore di garantirsi nel tempo la collaborazione di un lavoratore particolarmente qualificato, sottraendolo alle lusinghe della concorrenza, mediante l'attribuzione al dipendente di ulteriori benefici economici e di carriera in funzione corrispettiva del vincolo assunto.
La Suprema Corte ha, dunque, riconosciuto la legittimità della pattuizione individuale (peraltro con patto ad efficacia temporanea ben determinata, esaurita la quale i contraenti hanno la possibilità di disdetta con preavviso del patto stesso) di una più ampia durata del preavviso a fronte di cospicui vantaggi per il lavoratore (come, nel caso in esame, l'avanzamento al 2 livello della terza area professionale, con l'attribuzione del relativo trattamento economico, e la corresponsione di un assegno ad personam di lire 300.000 lorde per tredici mensilità), essendosi già affermato in sede di legittimità (sentenza n. 23235/2009) il principio secondo il quale, in materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.E’ lecito l’’accordo con cui il lavoratore abbia pattuito con il proprio datore di lavoro una maggiore durata del periodo di preavviso in caso di recesso. Con una recente pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la liceità della clausola del contratto individuale di lavoro che preveda una maggiore del preavviso nel caso di recesso dal rapporto da parte del lavoratore maggiore rispetto a quella del CCNL applicato al rapporto. Nella fattispecie in questione un lavoratore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 717/2011 della Corte di Appello di Bologna che aveva ritenuto la legittimità del patto di prolungamento (a dodici mesi) del periodo di preavviso, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni. La Corte territoriale motivava la sua decisione rilevando che la contrattazione collettiva (CCNL del credito) attribuiva alle parti individuali la facoltà di concordare un termine di preavviso diverso e maggiore a quello (di un mese) stabilito in sede nazionale e tale pattuizione era da considerarsi legittima a fronte del corrispettivo di un avanzamento di livello e del riconoscimento di un assegno ad personam di allora lire 300.000 lorde al mese al mese per tredici mensilità. La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18122 del 15.9.2016, ha confermato la sentenza impugnata rilevando che è lecito, mediante accordo individuale, pattuire una maggior durata del preavviso in quanto tale pattuizione può giovare al datore di lavoro, come avviene nel caso in cui non sia agevole la sostituzione del lavoratore recedente, ed è sicuramente favorevole anche al lavoratore, il quale resta avvantaggiato dal computo dell'intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute, (cfr. anche Cass. n. 5929/79). Nel medesimo senso è stato ritenuto (cfr. Cass. n. 18547/2009; Cass. n. 17817/2005) che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto e che non contrasta pertanto con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all'esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima; inoltre, la medesima clausola non rientra neppure in alcuna delle ipotesi di cui all'art. 1341 c.c. , comma 2, per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto. Il principio sopra esposto è stato ribadito ancor più di recente (Cass. n. 17010/2014), affermando che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una durata minima dlel’impiego, che comporti, fuori dell'ipotesi di giusta causa di recesso di cui all'art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente prima del tempo. Alla luce di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione ha affermato che l'ordinamento rimette alle parti sociali, ovvero alle stesse parti del rapporto, la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alle proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata. In tale contesto, la durata legale o contrattuale del preavviso è dunque derogabile dall'autonomia individuale in relazione a finalità meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, quale quella per il datore di garantirsi nel tempo la collaborazione di un lavoratore particolarmente qualificato, sottraendolo alle lusinghe della concorrenza, mediante l'attribuzione al dipendente di ulteriori benefici economici e di carriera in funzione corrispettiva del vincolo assunto. La Suprema Corte ha, dunque, riconosciuto la legittimità della pattuizione individuale (peraltro con patto ad efficacia temporanea ben determinata, esaurita la quale i contraenti hanno la possibilità di disdetta con preavviso del patto stesso) di una più ampia durata del preavviso a fronte di cospicui vantaggi per il lavoratore (come, nel caso in esame, l'avanzamento al 2 livello della terza area professionale, con l'attribuzione del relativo trattamento economico, e la corresponsione di un assegno ad personam di lire 300.000 lorde per tredici mensilità), essendosi già affermato in sede di legittimità (sentenza n. 23235/2009) il principio secondo il quale, in materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.
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