Il datore di lavoro non risponde dell'infortunio del dipendente se dimostra di aver fornito i dispositivi di protezione individuale del caso, di aver adeguatamente istruito il dipendente sui rischi specifici delle mansioni affidate e sull'utilizzo dei dispositivi di protezione e di aver vigilato sul rispetto delle istruzioni impartite.
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La vicenda di un lavoratore, caduto da un cestello durante una lavorazione in quota ha fornito alla Suprema Corte di Cassazione l'occasione per tornare su un argomento purtroppo sempre di stretta attualità, quale la sicurezza sul lavoro.
Si tratta della recente Ordinanza della Sezione Lavoro n. 3282 del 11 febbraio 2020.
Ricordiamo brevemente come la normativa in punto di sicurezza sia un sistema di regole congegnato in modo da non consentire lacune.
Infatti, se da una parte v'è l’art. 2087 cod. civ. (secondo il quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”), che adattandosi non solo alle innovazioni tecnologiche, ma, anche alle concrete condizioni di lavoro, rappresenta la norma di "chiusura" del sistema, dall'altra i suoi contenuti precettivi sono stati confermati prima dal d.lgs. 626/94 e poi dal d.lgs. n. 81 del 2008 (c.d. T.U. Sicurezza).
In generale, può dirsi che la responsabilità del datore di lavoro sia esclusa solo nel caso di dolo o di rischio elettivo del lavoratore (cioè, in pratica, quando il lavoratore scelga coscientemente e con un gesto contrario al buon senso di esporsi al rischio), ovvero quando siano presenti nella condotta posta in essere i caratteri della abnormità e della assoluta imprevedibilità, mentre l’eventuale concorso di colpa dell’infortunato, dovuta a negligenza, imprudenza o imperizia, non assume alcun valore esimente per l’imprenditore.
Inoltre, le norme di prevenzione sono volte ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose derivanti non solo da disattenzione, ma anche da negligenza ed imprudenza, di modo che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso, sia quando ometta di adottare le misure di prevenzione (in particolare di fornire i dispositivi di protezione individuale), sia quando non si accerti e vigili che di queste misure venga fatto corretto ed effettivo uso, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale dell’imprenditore da responsabilità solo in casi eccezionali.
Venendo al caso in esame, possiamo dire che nessuna colpa sia attribuibile al datore di lavoro, vertendosi in un classico esempio di rischio elettivo come sopra descritto.
Infatti, il lavoratore, non certo alle prime armi per anzianità lavorativa, operando in quota su un cestello, aveva omesso di assicurare a quest'ultimo la cintura anticaduta regolarmente indossata.
E' altresì risultato pacifico che al lavoratore erano state fornite al momento della consegna del dispositivo di protezione tutte le istruzioni e che il preposto aziendale aveva regolarmente richiamato a fare corretto uso del medesimo dispositivo.
Ebbene, la Corte ha ribadito che pur valorizzando la funzione dinamica dell'art. 2087 c.c., la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata al punto da comprendere ogni ipotesi di lesione dell'integrità dei dipendenti, non configurando tale norma una responsabilità oggettiva, ma essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nel predisporre le misure di protezione.
Né, d'altro canto, può desumersi, dalla stessa disposizione, l'obbligo di rispettare ogni cautela possibile (fino ad arrivare ad un rischio zero) quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di una attrezzatura siano ineliminabili, neanche col massimo sforzo possibile, perché ciò equivarrebbe ad addossare al datore di lavoro qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile o ineliminabile.
Quanto detto vale anche per l'obbligo di vigilanza, che non deve essere affatto ininterrotta o comportare la costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, potendo sostanziarsi in una vigilanza generica, seppure continua ed efficace, intesa ad assicurare nei limiti dell'umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.
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