Con ordinanza del 18/12/2017, il Tribunale di Trento ha ritenuto che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla violazione da parte del datore di lavoro del c.d. obbligo di repêchage consegue la reintegra nel posto di lavoro per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c. 7 art. 18 l. 300/70).
Come noto, nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una delle questioni più controverse per gli operatori del diritto, attiene all’istituto del c.d. repêchage ovvero il diritto a favore del lavoratore di salvaguardare il proprio posto di lavoro nel caso in cui al momento del recesso vi siano altre posizioni lavorative disponibili all’interno dell’azienda.
Di origine esclusivamente giurisprudenziale e proprio solo dei licenziamenti economici, il diritto di repêchage implica che un licenziamento possa essere considerato legittimo solo quando costituisca una extrema ratio e non sia possibile alcun reimpiego del lavoratore nell’organizzazione produttiva attraverso l’adibizione dello stesso a mansioni diverse, anche inferiori, dalle ultime svolte.
Quanto alle conseguenze della accertata violazione dell’obbligo di repêchage, l’orientamento non è univoco: infatti, c’è chi sostiene che l’obbligo di repêchage, pur rientrando nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, esuli dal “fatto posto a base del licenziamento” (tra le altre: Trib. Milano 20/11/2012; Trib. Torino 05/04/2016; Trib. Genova 14/12/2013; Trib. Varese 04/09/2013; Trib. Roma 08/08/2013) e chi, invece, lo nega (così: Trib. Reggio Calabria 03/06/2013; Trib. Roma 7/5/2013; Trib. Milano 23/2/2013). Va da sé che, per coloro che l’obbligo di repêchage come elemento esterno al fatto posto a base del licenziamento, la sanzione prevista per l’inadempimento di questo obbligo può essere solo la tutela risarcitoria.
Viceversa, per coloro che considerano l’obbligo di repêchage come parte integrante del fatto stesso, la violazione del relativo obbligo da parte del datore di lavoro consente al giudice di applicare come sanzione la reintegrazione. Il Tribunale di Trento, con l’ordinanza qui in commento, ha ritenuto di aderire a quest’ultimo orientamento.
Nel caso di specie un lavoratore, con mansioni di magazziniere, aveva impugnato il licenziamento per g.m.o. che gli era stato intimato dalla società sua datrice di lavoro per una asserita “riorganizzazione aziendale” che aveva portato alla soppressione del suo posto di lavoro. Nell’invocare l’illegittimità del licenziamento, il lavoratore lamentava, in primo luogo, la ritorsività dello stesso e, in ipotesi, la violazione dell’obbligo di repêchage, sostenendo di poter essere utilmente riadibito a mansioni di magazziniere per il cui svolgimento la società datrice di lavoro aveva effettuato altre assunzioni in epoca prossima al licenziamento.
Il Tribunale, dopo avere respinto la tesi della ritorsività, ha accertato che, in effetti, all’epoca in cui la società datrice di lavoro aveva maturato la decisione di licenziare il dipendente, esistevano in azienda alcuni posti vacanti aventi ad oggetto proprio le mansioni di addetto al magazzino per cui la società, omettendo di assegnarle al lavoratore e decidendo di licenziarlo, aveva violato l’obbligo di repêchage.
Quanto alla tutela riconosciuta al lavoratore, il Giudice, aderendo all’orientamento secondo cui l’obbligo di repêchage è un elemento essenziale della fattispecie del licenziamento per g.m.o., la cui carenza comporta l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso, ha ritenuto di riconoscergli la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 commi 4 e 7 SL.
Tale pronuncia merita particolare attenzione in quanto, come detto, per i lavoratori assunti prima del 7/3/2015, ai quali dunque non si applica il c.d. Jobs Act, la prevalente giurisprudenza ha escluso la tutela reintegratoria in favore di quella meramente indennitaria, sul presupposto che l’impossibilità di una diversa collocazione del lavoratore licenziato non rientra nel “fatto posto a base del licenziamento”, la cui manifesta insussistenza può autorizzare la reintegrazione.
Al contrario, per i lavoratori assunti dopo il 7/3/2015, ai quali cioè si applica il nuovo regime delle tutele crescenti, il problema neppure si pone, data l’esclusività della tutela indennitaria nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
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