Appalti che si svolgono all’interno dello stabilimento del committente: quando si configura una interposizione illecita di manodopera
Negli appalti che si svolgono all’interno dello stabilimento del committente (endoaziendali) si configura una intermediazione vietata di manodopera tutte le volte che a quest’ultimo viene messa a disposizione una prestazione meramente lavorativa, anche quando la società appaltatrice, pur non essendo una società fittizia in quanto dotata di propria organizzazione imprenditoriale, si limita alla cosiddetta mera gestione amministrativa del rapporto.
La recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro n. 9288/2016 del 9.5.2016 (Pres. Napoletano, Rel. Berrino), ci consente di svolgere una ricognizione essenziale degli approdi più recenti che danno contenuto alle disposizioni di legge succedutesi in materia di intermediazione (illecita) di manodopera, ovvero, gli abrogati artt. 1 e 3 della legge n. 1369 del 1960 e il c.d. decreto Biagi, d.lgs n. 276 del 2003.
Come è noto, il divieto di interposizione impedisce che un lavoratore sia solo formalmente alle dipendenze di un datore di lavoro ma venga effettivamente utilizzato da un altro. La ragione di tale scelta legislativa è nell'esigenza di imputare la responsabilità datoriale al soggetto che effettivamente tragga profitto dalla prestazione lavorativa inserita nel suo ciclo produttivo, anche in quanto tale soggetto è generalmente il più economicamente affidabile e stabile.
Lo scopo è quello di non svilire le garanzie a favore della parte più debole del rapporto favorendo la riconoscibilità e la solidità del soggetto verso il quale tali garanzie possono essere attuate.
Altro scopo è anche quello di impedire che il compenso dell’interposto gravi sulla retribuzione del lavoratore, diminuendola.
Per un breve periodo la disciplina in esame ha coesistito con la figura del lavoro interinale (l. n. 196 del 1997), poi abrogata dal d. lgs. 276 del 2003, che ha introdotto l’istituto della somministrazione di manodopera, autorizzando solo le imprese di somministrazione (agenzie per il lavoro), a certe condizioni, a mettere a disposizione di terzi i propri lavoratori.
L'evoluzione legislativa non comporta certo l’eliminazione del divieto di interposizione, poiché la mera somministrazione di lavoro è autorizzata solo se attuata dalle agenzie per il lavoro nel rispetto delle condizioni di legge.
Ancor più importante, tutta la giurisprudenza formatasi sulla legge 1369/60, abrogata, conserva ancor oggi piena validità, soprattutto in punto di definizione degli elementi che consentono di far emergere l'illecita interposizione.
La giurisprudenza è assolutamente consolidata nella definizione dei criteri necessari a distinguere tra appalto endoaziendale di servizi e mera prestazione di manodopera.
Prima di tutto, la qualità del soggetto appaltatore (se cioè sia un imprenditore genuino o meno) è scarsamente significativa, contando al contrario il concreto atteggiarsi della vicenda, in particolare la verifica sul campo se abbia speso o meno le proprie qualità imprenditoriali correndo il rischio d'impresa, o si sia limitato a fornire la manodopera gestendo il rapporto solo dal punto di vista "amministrativo" (pagamento della retribuzione, formazione del prospetto paga, concessione di ferie e permessi etc.).
Per conseguenza, il requisito imprenditoriale è indice sicuro di illegittimità quando manchi, e non è decisivo quando ci sia.
Poi vi sono anche altri indici importanti, come l'utilizzazione di macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, l'emanazione di ordini e direttive di lavoro direttamente da personale della società appaltante a personale della società appaltatrice, l'assenza di un soggetto di quest'ultima che faccia da responsabile o coordinatore. Il peso dei predetti indici varia in base al tipo di attività che l’appaltatore svolge, qualora non siano necessari mezzi strumentali (l’esempio più diffuso è quello degli appalti di pulizia), in particolare, la direzione ed il controllo del personale assume un rilievo primario.
La sentenza della Corte di Cassazione 9288/2016, torna a ribadire oggi i principi enunciati a proposito di un lavoratore inserito stabilmente nell'organizzazione imprenditoriale della committente, da considerarsi dipendente di quest’ultimo in ogni caso in cui non vi sia alcun apporto da parte della società appaltatrice circa modalità e termini di svolgimento della prestazione lavorativa.
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