Il caso in cui un lavoratore in Cassa Integrazione svolga altra attività di lavoro remunerata (sia di tipo subordinato, sia autonomo) era regolato dal combinato disposto degli artt. 3 del D. Lgs. N. 788/1945 e 8, comma 4, della L. N. 160/88, successivamente confluiti nell’art. 8 del D. Lgs. N. 148/2015. Secondo tali norme, “il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate”.
L’Inps, in un primo tempo, aveva interpretato in maniera restrittiva tale disposizione ed aveva stabilito una totale incompatibilità del trattamento di cassa integrazione con lo svolgimento di una nuova qualsiasi attività lavorativa sia autonoma, sia subordinata. La giurisprudenza, invece, si era pronunciata in diverse occasioni in modo difforme rispetto a tale interpretazione, precisando che “lo svolgimento di un’attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata o autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto, ma unicamente la riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi derivanti dall’altra attività” (cfr. C. Cass. n. 12487/1992). Tenuto conto di tale orientamento giurisprudenziale, l’Inps ha quindi successivamente modificato la propria posizione iniziale fornendo, con la Circolare n. 130/2010, un quadro riassuntivo delle ipotesi di cumulabilità del trattamento di cassa integrazione con altre attività lavorative durante il periodo di fruizione dei trattamenti medesimi.
In ogni caso, come precisato prima dall’art. 8 comma 5 del D. L. N. 86/1988 e poi dall’art. 8 comma 3 del D. Lgs. N. 148/2015, il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione dello svolgimento della nuova attività alla sede Inps competente.
Ed è proprio sul significato di “preventiva comunicazione” che si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24455 del 17 ottobre 2017 con la quale la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui la mancata comunicazione preventiva di una nuova occupazione comporta la perdita del trattamento di Cassa Integrazione Straordinaria.
Nel caso di specie, l’Inps si era trovata costretta a presentare ricorso per cassazione al fine di sentir accertare la decadenza dalla prestazione di cassa integrazione straordinaria di una lavoratrice che non aveva comunicato preventivamente all’Istituto l’inizio di una nuova attività lavorativa.
La dipendente, dal canto suo, sosteneva invece che, al fine di evitare la decadenza, analogamente a quanto previsto dalla disciplina sull’indennità di mobilità della L. n. 223/1991, fosse sufficiente una comunicazione tempestiva, ovvero effettuata in tempi ragionevoli rispetto all’inizio della nuova prestazione di lavoro, ma non necessariamente precedente l'assunzione.
La Corte, nell’accogliere il ricorso presentato dall’Istituto Previdenziale ed in linea con il suo orientamento prevalente (cfr. C. Cass. n. 173/2006, C. Cass. n. 14196/2010; C. Cass. n. 26520/2013 e da ultimo C. Cass. n. 10379/2015), ha affermato che la comunicazione all’Inps deve essere antecedente all’inizio della nuova attività e ciò in ragione della ratio legis della disposizione che mira ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell'INPS ai fine di ridurre l'area del lavoro nero e garantire l'effettiva destinazione delle risorse disponibili a sostegno dei disoccupati. La Suprema Corte, in proposito, ha precisato che “una diversa opzione interpretativa, che limiti la decadenza dall'integrazione solo al periodo successivo all'inizio dell'attività lavorativa da parte del cassintegrato, comporterebbe la soppressione della sanzione prevista dalla norma e finirebbe, ingiustamente, per equiparare i cassaintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l'INPS e quelli che, invece, correttamente assolvono l'obbligo di comunicazione”.
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