DISCRIMINAZIONE SINDACALE E ONERE DELLA PROVA C. Cassazione 2 gennaio 2020, n. 1
05 marzo 2020
Con la prima sentenza del nuovo anno – ovvero con la numero 1, pubblicata lo scorso 2 gennaio 2020 - la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro è tornata ad affrontare uno dei temi più dibattuti e tormentati delle aule di giustizia: la disciplina dell’onere della prova in materia di discriminazione. Il caso sottoposto alla Corte trae origine dal trasferimento di 316 lavoratori, 77 dei quali risultavano iscritti al sindacato Slai Cobas, tra cui 17 dei 21 componenti del direttivo provinciale di Napoli. Lo Slai Cobas, limitandosi a riportare l’evidenza dei richiamati dati statistici, lamentava la natura discriminatoria ed antisindacale della condotta aziendale e instaurava all’effetto un giudizio ai sensi dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
Per gli Ermellini non ci sono dubbi: “a fronte di un inequivoco dato statistico, qual è quello di specie, spetta al datore di lavoro dimostrare che non sussiste alcuna discriminazione nella condotta adottata”. Il documento statistico determina in altre parole una parziale inversione dell’onere della prova, realizzando una vera e propria presunzione di discriminazione superabile solo in presenza di una prova di segno contrario offerta dal datore di lavoro.
Il principio descritto e fatto proprio dalla Corte di Legittimità si inserisce nel più ampio contesto normativo europeo che in forza delle direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE, attuate dal legislatore nazionale rispettivamente con il d.lgs n. 215 e il d.lgs n. 216 del 2003, impone agli stati membri un meccanismo probatorio che richiede alla parte attrice solo di dedurre i fatti (to establish the facts) o di produrre elementi in presenza dei quali si possa solo presumere una condotta illecita, con una chiara opzione per l’inversione dell’onere probatorio a carico del soggetto che discrimina. È in ragione di ciò che la Suprema Corte, richiamando la disciplina citata, ha ritenuto che il Giudice di Appello di Napoli avesse mal analizzato gli elementi di fatto dedotti dal sindacato ricorrente, non riconoscendo al dato statistico da esso fornito un valore probatorio preminente rispetto ai dati di carattere produttivistico indicati dalla difesa della società, disponendo così una nuova e più attenta valutazione delle ragioni tecnico organizzative eccepite dall’azienda che a dire della società escludevano un intento discriminatorio, o comunque una obiettiva connotazione discriminatoria, del trasferimento.
Ma c’è di più. Nel decidere la fattispecie in commento, la Suprema Corte ha altresì stabilito che il meccanismo probatorio tipico del procedimento discriminatorio descritto trova applicazione anche al di fuori del rito processuale di cui agli artt. 702-bis cpc e 28 del d.lgs n. 150 del 2011 ed in particolare nel procedimento di repressione antisindacale, qual è quello che qui occupa.
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