Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 27436/2017, hanno finalmente risolto il contrasto interpretativo esistente sul tema dei rapporti tra la delibera di esclusione del socio lavoratore di una cooperativa e il licenziamento dello stesso, pronunciando il seguente principio di diritto: “in caso d’impugnazione del licenziamento, la tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione, da parte del socio, della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, restando esclusa la tutela reintegratoria.” Ebbene, per gli Ermellini non ci sono dubbi: il rapporto di lavoro non può essere ricostituito se si è estinto in maniera definitiva quello associativo, lasciando spazio alla sola tutela indennitaria.
Sebbene in più occasioni la giurisprudenza della Suprema Corte abbia evidenziato il rapporto di stretta interconnessione che il Legislatore del 2001 (e con ancora maggiore incisività quello del 2003) ha voluto creare fra il rapporto associativo e quello lavoristico che intercorrono fra il socio/lavoratore da un lato e la società cooperativa/datore di lavoro dall'altro, il tema della disciplina applicabile in caso di accertata illegittimità del recesso non aveva (almeno fino ad oggi) trovato un equilibrio consolidato. Ma andiamo con ordine.
Due sono i principali orientamenti che negli ultimi anni si sono contrapposti nelle aule giudiziarie e che hanno portato la Corte romana a rimettere la questione alle Sezioni Unite della stessa, con ordinanze n. 13030 e 13031 del 2017.
Secondo una prima tesi argomentativa, fatta propria da numerose sentenze (anche di legittimità), al socio, prima escluso e poi licenziato, spetta la tutela reintegratoria nel caso in cui la motivazione dell’esclusione sia dalla società interamente ricondotta al rapporto lavorativo (in questo senso v. da ultimo Cass. n. 1259/2015 e Cass. 14143/2012). Ebbene, secondo tale ricostruzione, solo se la ragione posta a fondamento della delibera di esclusione viene ricondotta esclusivamente ad un inadempimento legato al rapporto lavorativo, la qualifica di lavoratore prevale su quella di socio e l'impugnazione del licenziamento non può che conservare pienamente i suoi effetti anche in difetto di impugnazione della delibera di esclusione.
A tale primo orientamento, si è da sempre contrapposta una seconda e diversa teoria, secondo la quale la tempestiva impugnazione della delibera di esclusione da socio deve essere ritenuta necessaria e indispensabile per evitare la compromissione definitiva del rapporto di lavoro e del connesso strumento di tutela. Quest’ultima tesi, come anticipato in premessa, è stata recentemente accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza qui commentata. Dopo un’attenta ricostruzione della natura del rapporto che lega il socio alla cooperativa, la Suprema Corte a sezioni riunite, ha affermato che “il collegamento del rapporto associativo e di lavoro nella fase estintiva assume necessariamente un carattere unidirezionale”. Ciò significa che se, da un lato, la cessazione del rapporto di lavoro non comporta l’automatico venir meno di quello associativo (che può, infatti, proseguire ed essere alimentato dal socio mediante la partecipazione alla vita e alle scelte dell’impresa, oltre che al rischio e ai diversi risultati economici), dall’altro, la preventiva risoluzione del legame associativo trascina con sé inevitabilmente quella del rapporto di lavoro (così si esprime l’art. 5, comma 2 della L. n. 142/2001, come modificato dalla L. n. 30/2003). In sintesi, specifica la Corte, “il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore”. Se è vero che i due rapporti sono tra loro dipendenti nella logica “unidirezionale” appena descritta, è ancora più vero che in mancanza di una specifica impugnazione della delibera assembleare, l’ex lavoratore non potrà chiedere (e di conseguenza ottenere) la ricostituzione del rapporto sociale e del dipendente rapporto lavorativo, potendo al più limitare le proprie pretese alla tutela indennitaria prevista dall’art. 8, L. n. 604/1966 (2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).
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