La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 5996 del 28 febbraio 2019 ha fornito alcuni chiarimenti in ordine ai criteri per valutare la legittimità del licenziamento di un lavoratore distaccato.
Il distacco, secondo l’art. 30 del d.lgs. 276/2003, consiste nell’invio da parte del datore di lavoro (che prende il nome di distaccante) di un lavoratore subordinato presso un terzo (distaccatario) per svolgere una specifica attività lavorativa. Per l’effetto, il lavoratore distaccato, pur rimanendo dipendente di colui che lo ha assunto (e su cui continua a gravare l’onere retributivo), per tutta la durata del distacco è a disposizione di un soggetto diverso, che esercita nei suoi confronti il potere direttivo. La scissione tra il titolare del rapporto e l’utilizzatore della prestazione è la particolarità che accomuna l’istituto del distacco alla somministrazione di lavoro e si tratta di un elemento assai rilevante. E’ infatti consolidato e fondamentale principio del diritto del lavoro proprio l’opposto: che, a prescindere dal titolare formale del rapporto, il lavoratore sia dipendente del soggetto che ne utilizza direttamente la prestazione.
Il distacco, come eccezione a tale regola, è dunque lecito a due condizioni: che esso abbia carattere temporaneo (o meglio, non definitivo, non essendo esclusa a priori la possibilità di durata medio/lunga); che esista un interesse vero e qualificato del distaccante allo svolgimento della prestazione presso il distaccatario. Di fatto, il distacco viene utilizzato soprattutto nell’ambito di imprese collegate da rapporti economici o societari, ad esempio, tra società facenti parte di uno stesso gruppo. In tale contesto, è utilizzato come una sorta di “prestito” di uno o più lavoratori, disposto per soddisfare esigenze organizzative del gruppo. Senza poter qui svolgere una riflessione più approfondita in merito ai limiti di liceità ed ai possibili abusi – si pensi, ad esempio, al caso in cui il distaccante applichi un contratto collettivo che preveda una retribuzione più bassa di quella in uso presso il distaccatario o in cui il lavoratore sia distaccato dal primo giorno di lavoro – vi sono, anche nelle ipotesi di distacco lecito, una serie di criticità.
La scarna disciplina dell’istituto, infatti, lascia aperti molti interrogativi, cui, in concreto, non è sempre facile dare risposta o che comunque possono dar luogo a problemi pratici assai rilevanti. Ad esempio: il lavoratore distaccato esercita i diritti sindacali presso il distaccante o presso il distaccatario? Qualora distaccante e distaccatario applichino contratti collettivi (nazionali o anche solo aziendali) diversi, qual è la disciplina negoziale applicabile al distaccato? Ove il distacco comporti un mutamento della sede di lavoro, al lavoratore spetta l’indennità di trasferta?
Dubbi altrettanto importanti possono porsi in relazione al licenziamento, soprattutto nel caso – invero non troppo raro – in cui, contestualmente alla cessazione del distacco (qualunque ne sia la ragione), il datore di lavoro disponga licenziamento del lavoratore per (asserita) impossibilità di reimpiegarlo proficuamente in azienda.
La sentenza citata in esordio ha anzitutto chiarito che non costituisce giustificato motivo di licenziamento del lavoratore distaccato la mera cessazione del distacco o la soppressione del suo posto presso il distaccatario. Alla fine del distacco, infatti, il datore di lavoro deve reintegrare il lavoratore presso di sé, o almeno dimostrare di aver tentato di farlo.
Così stando le cose, i presupposti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono essere verificati con riferimento all'ambito aziendale del distaccante, nella sua interezza. Sarà dunque onere del datore che voglia disporre licenziamento dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore di cui sia cessato il distacco alle mansioni che egli svolgeva in precedenza, oppure ad altre, eventualmente anche inferiori, che siano vacanti e che il lavoratore potrebbe ricoprire. Il datore dovrà altresì dimostrare che la scelta di licenziare proprio colui che era stato distaccato, e non altri, discende da esigenze tecniche ed organizzative oggettive e giuridicamente apprezzabili, e non dal semplice fatto che questi è stato (più o meno a lungo) assente e/o che le sue mansioni siano state, nel frattempo, assegnate ad altri.
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