IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO NON RICHIEDE UNA PREVENTIVA CONTESTAZIONE CONTENENTE L’ANALITICA INDICAZIONE DI TUTTE LE ASSENZE – Cass. 284/2017

29 maggio 2017

La sentenza che si commenta riguarda il tema del licenziamento per superamento del comporto.

L'art. 2110 c.c. prevede il diritto alla conservazione del posto di lavoro per i dipendenti in stato di infortunio, malattia, gravidanza o puerperio, precisando tuttavia che "nei casi suddetti l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118 c.c. decorso il periodo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità ".

Oltrepassati i limiti temporali entro i quali deve mantenere il posto di lavoro del dipendente assente per malattia, il datore di lavoro può interrompere il rapporto unilateralmente, fermo il diritto del dipendente licenziato al preavviso o all'indennità sostitutiva del medesimo.

Si tratta evidentemente di una forma di recesso che, pur intimato in connessione ad una situazione soggettiva del lavoratore, non è riconducibile nell'ambito del licenziamento disciplinare: esso infatti  trova il proprio fondamento nel solo prolungamento della malattia, indipendentemente dal comportamento del lavoratore precedente o successivo all'inizio dell'assenza. Per tali motivi la giurisprudenza, pur riconoscendo nel licenziamento per superamento del comporto una fattispecie autonoma, compiutamente regolata dall'art. 2110 cc, lo ha ritenuto assimilabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ora, strettamente connessa con l'inquadramento giuridico della fattispecie è la questione, che la sentenza in epigrafe affronta, delle modalità di assolvimento degli oneri formali da parte del datore di lavoro.

In concreto, il problema è di stabilire se il datore di lavoro debba indicare analiticamente nella lettera di licenziamento le singole giornate di assenza (come per esempio è  richiesto nei casi di licenziamento disciplinare quando siano contestate assenze ingiustificate dal lavoro), ovvero possa limitarsi all'indicazione delle sole assenze totali in un determinato periodo, oppure ancora se possa addirittura intimare genericamente il superamento del periodo di comporto, senza nulla specificare in ordine ai giorni o ai periodi di assenza.

Sul tema, collocandosi nel solco di precedenti pronunce, la Corte conferma che "solo impropriamente, riguardo  ad esso [nda:il licenziamento per superamento del comporto], si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l'assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l'indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato".

Dunque, il datore di lavoro, pur non dovendo specificare analiticamente tutti i giorni di malattia, dovrà comunque indicare dettagliatamente il periodo di assenza, per esempio rilevando il numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, così da consentire al lavoratore un controllo sulla veridicità di tale indicazione e dunque in ordine alla correttezza dell'assunto sul quale si fonda il recesso. Quanto precede al fine di consentire al dipendente dell'esercizio del proprio diritto di difesa.

Ne consegue che un licenziamento per superamento del periodo di comporto che non soddisfi tali minimi requisiti, risulterà illegittimo per vizio di motivazione ai sensi dell''art. 2, L. n. 604/1966.

Ma la sentenza in parola si segnala anche per aver affermato un principio rilevante ai fini del computo dei giorni di assenza in base al quale l'invio del certificato medico da parte del lavoratore al proprio datore durante il periodo di ferie è da considerarsi manifestazione tacita del primo della volontà di convertire l’assenza per ferie in assenza per malattia, senza che sia necessaria una esplicita richiesta in questo senso.

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