IL PERIODO DI COMPORTO COMPRENDE ANCHE I SABATI E LE DOMENICHE NON INDICATI NEL CERTIFICATO MEDICO
La malattia rappresenta nel nostro ordinamento un’ipotesi legale di sospensione del rapporto di lavoro causata dalla impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa: l'art. 2110 c.c. infatti dispone che in caso di malattia il rapporto di lavoro viene sospeso e che il dipendente in malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro nei limiti di un determinato periodo (c.d. periodo di comporto) stabilito dalla legge e dai contratti collettivi. Decorso tale termine, il dipendente deve rientrare in servizio perché, viceversa, potrebbe essere licenziato per superamento del periodo del comporto.
Diventa quindi essenziale determinare la durata del termine di comporto, solitamente disciplinato dai contratti collettivi che distinguono due ipotesi: il comporto “secco”, che fissa il termine di conservazione del posto nel caso di un'unica malattia di lunga durata, ed il comporto “per sommatoria”, che stabilisce il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie verificatesi in un determinato arco temporale.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. 24.9.2014 n. 20106; Cass. 15.12.2008 n. 29317; Cass. 23.6.2006 n. 14633; Cass. 10.11.2001 n. 21385), nella determinazione del periodo di comporto devono essere considerati (ove la disciplina contrattuale non contenga esplicite previsioni di diverso tenore) anche i giorni non lavorati (come per esempio: il sabato, la domenica o altri giorni festivi) che cadono nel periodo di malattia, dovendosi presumere in quei giorni la continuità dell’episodio morboso e l’indisponibilità del lavoratore, salvo che egli fornisca la prova contraria.
In particolare, il medesimo orientamento ritiene che la prova idonea a smentire la suddetta presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell'avvenuta ripresa dell'attività lavorativa, atteso che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto, con la conseguenza che i soli giorni che il lavoratore può legittimamente richiedere che non siano conteggiati nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo rientro in servizio.
Pertanto, nel caso di più certificazioni mediche, l’una di seguito all’altra, che prevedano il riposo dal lunedì al venerdì, senza nulla aggiungere circa il sabato, la domeniche o altri giorni festivi, dovranno essere conteggiati come giorni di assenza anche questi ultimi, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso anche in tali giorni, pur non essendo espressamente indicati nei certificati medici.
Proprio sul tema è tornata di recente la Corte di Cassazione che, con sentenza n. 24027 del 24/11/2016, ha ribadito l’orientamento di cui sopra.
Nel caso in commento, la Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso di un lavoratore che, licenziato per superamento del periodo di comporto, contestava l’inserimento nel conteggio anche delle domeniche e dei giorni non lavorativi non compresi nei certificati medici, ribadendo il principio di diritto consolidato nella giurisprudenza della Corte secondo cui “la necessità di tener conto, ai fini del calcolo del comporto, dei giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso. Detta presunzione di continuità opera sia per le festività ed i giorni non lavorativi che cadono nel periodo della certificazione, sia nella diversa ipotesi di certificati in sequenza di cui il primo attesti la malattia fino all’ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale ed il secondo la certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica”.
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