Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 30422 del 19.12.2017, può considerarsi antisindacale anche una condotta datoriale che, sebbene esaurita, conservi efficacia deterrente e/o intimidatoria nei confronti di chi, in futuro, avesse intenzione di svolgere attività sindacale.
Nella fattispecie, la Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 392/2012, in accoglimento del gravame promosso da un’Associazione Sindacale, aveva dichiarato antisindacale la condotta posta in essere da una società e consistita nella trattenuta di otto ore di retribuzione operata, in aggiunta alla mancata retribuzione per le ore non lavorate, nei confronti dei dipendenti che avevano aderito allo sciopero.
Secondo la Corte di Appello la trattenuta così operata dall'azienda risultava tale da comportare un effetto deterrente rispetto all'adesione dei lavoratori a iniziative dello stesso genere, non rilevando peraltro, su tale obiettiva capacità di incidenza, il fatto che il datore di lavoro non avesse avuto l'intenzione di ledere le prerogative sindacali e il diritto di sciopero. La Corte osservava, inoltre, come la condotta datoriale dovesse ritenersi ancora attuale, stante il possibile protrarsi nei lavoratori dell'effetto psicologico e comunque di una situazione di incertezza circa il regime applicabile al blocco della flessibilità. Avverso la suddetta sentenza la società promuoveva ricorso per cassazione.
Proprio sulla carenza di “attualità” della condotta si era spesa la difesa del datore di lavoro, le cui argomentazioni sono state però respinte.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sui motivi del ricorso ha ribadito il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale "in tema di repressione della condotta antisindacale… il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l'ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell'attività sindacale……(Cass. n. 23038/2010, già citata in sentenza; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 3837/2016)”.
La Corte di Cassazione ha richiamato il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 5295/1997: per dichiarare una condotta antisindacale "è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell'illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l'obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero".
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