La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15566 del 10.06.2019, torna ad affrontare il tema della recidiva spiegando che la contestazione disciplinare, precisa e tempestiva, deve riguardare anche la recidiva, qualora essa sia elemento costitutivo della mancanza e non già un mero criterio per valutare gravità della condotta contestata. In tal caso la completezza e la validità della contestazione non possono essere escluse per il semplice fatto che nella formulazione dell’addebito sia omessa l’espressione tecnica “recidiva”, rilevando però ai fini della precisione il necessario riferimento ai precedenti disciplinari già comunicati per iscritto al lavoratore.
Nel caso di specie un lavoratore veniva licenziato per giusta causa considerando anche altri tre precedenti disciplinari che gli erano stati, in precedenza, contestati.
Con la sentenza in commento la Cassazione intende dare seguito all’orientamento giurisprudenziale, richiamando un precedente Cass. 28.03.1992, secondo il quale la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva, o comunque i precedenti disciplinari che la integrano, ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già il mero criterio di determinazione della sanzione ad essa proporzionata e, come già sopra detto, la completezza e la validità della contestazione non possono essere escluse per il semplice fatto che nella formulazione della contestazione il riferimento ai precedenti disciplinari non sia accompagnato dall’espressione “recidiva”, rilevando ai fini della indispensabile precisione della contestazione dei fatti addebitati anche il riferimento a precedenti comunicazione scritte al lavoratore.
Nella sentenza n. 15566/2019 la Suprema Corte affronta anche altri temi come quello della proporzionalità e della tempestività dal provvedimento disciplinare.
In tema di proporzionalità la Corte ribadisce il principio per cui debba escludersi la configurabilità in astratto di qualsiasi automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistono nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato. In quest’ottica la contrattazione collettiva è nulla e, perciò, inapplicabile per contrasto con le norme imperative dello Stato (art. 2106 c.c., art. 7, L. n. 300/1970), tutte le volte in cui essa preveda un’ipotesi automatica di sanzione disciplinare conservativa o espulsiva che prescinda dalla valutazione della sua proporzionalità rispetto alla infrazione commessa dal lavoratore sia sotto il profilo soggettivo e sia sotto quello oggettivo.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di osservare che la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in successive mancanze disciplinari, come ipotesi di licenziamento, non esclude il potere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell’accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva, quale naturale conseguenza del sistema normativo in tema di procedimento disciplinare (cfr. fra le tante Cass., 1812.2014, n. 26741).
In tema di tempestività della contestazione disciplinare, la Cassazione ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il principio dell’immediatezza, non consente al datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente e perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tenere conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale (cfr. fra le tante Cass., 26.06.2018, n. 16841).
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