Con la recente sentenza n. 21537 del 20 agosto 2019, la Corte di Cassazione ha fornito alcuni interessanti chiarimenti in merito alla possibilità del datore di lavoro di dare disdetta ad un contratto collettivo, o, comunque, di cessarne l’applicazione ai suoi lavoratori dipendenti.
La pronunzia trae spunto da una vicenda piuttosto complessa, di cui è sufficiente esporre i fatti salienti.
Una società con diverse unità produttive dislocate su tutto il territorio nazionale, nel corso del 2010, decideva di abbandonare l’organizzazione dei datori di lavoro cui era fino ad allora iscritta, firmataria del contratto collettivo nazionale dell’industria Chimica. Nel mesi successivi, anche in conseguenza di una serie di vicende societarie, l’azienda si trovava ad applicare il CCNL della Chimica in alcune unità produttive e quello dei Metalmeccanici nelle altre.
Più tardi, adducendo anche ragioni economiche che le avrebbero reso necessario applicare il contratto collettivo meno oneroso, la società comunicava la disdetta unilaterale del contratto della Chimica, ben prima della sua scadenza, e iniziava ad applicare l’altro a tutti i suoi lavoratori. Tale decisione veniva immediatamente contestata dalla FILCTEM-CGIL.
Nei primi gradi di giudizio, il sindacato è risultato soccombente. La decisione è stata tuttavia ribaltata dalla Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza già citata, ha infine accertato l’illegittimità della condotta dell’azienda.
Più in particolare, la Suprema Corte ha chiarito che gli unici soggetti legittimati a dare disdetta ad un contratto collettivo sono le parti che lo hanno firmato. La singola azienda, dunque, può farlo solo rispetto ad un accordo (di “secondo livello” o aziendale) che essa ha stipulato con le Organizzazioni Sindacali locali. Ove invece si tratti di contratto collettivo nazionale (come nel caso sotto esame), “la possibilità di disdetta” – spiega la Corte – “spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, [salva l’eccezione di cui si è detto sopra, ndr], non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso, conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica”.
Quanto alle modalità, la Cassazione specifica che la disdetta deve avvenire in corrispondenza della scadenza del contratto collettivo, se un termine di scadenza è previsto, oppure “con congruo preavviso” (la cui misura è normalmente, anche se non sempre, indicata nello stesso contratto collettivo) se il contratto è a tempo indeterminato.
La disdetta, in ogni caso, deve essere esercitata “secondo correttezza e buona fede” e, comunque, non può ledere i diritti già entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori.
Ove siano rispettati tali principi - e dunque se la disdetta del contratto sia stata comunicata nel rispetto dei termini e delle condizioni di cui sopra - conclude la Corte di Cassazione, il datore di lavoro può aderire ad un contratto collettivo diverso da quello precedentemente applicato o stipulare un nuovo contratto collettivo, anche con alcuni soltanto dei sindacati che avevano sottoscritto il precedente. Infatti, al riguardo, nella stessa sentenza si legge che “rientra nell’autonomia negoziale da riconoscere alla parte datoriale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con organizzazioni sindacali anche diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente”.
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