Con ordinanza N. 14510 del 28 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha elaborato il seguente principio di diritto: “Il diritto alla liquidazione del t.f.r., nonostante l'avvenuto accantonamento delle somme, non può ritenersi entrato nel patrimonio del lavoratore prima della cessazione del rapporto, sicché per il dipendente ancora in servizio costituisce un diritto futuro, la cui rinuncia è radicalmente nulla, per mancanza dell'oggetto, ai sensi dell'art. 1418, comma 2, e dell'art. 1325 c.c.”
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto valida la rinuncia all'integrazione del TFR effettuata il 10 gennaio 2008 con riguardo a un rapporto di lavoro cessato il 31 gennaio 2008 sul rilievo che vi fosse una sostanziale contestualità tra i due momenti e che, comunque, il momento della cessazione del rapporto di lavoro va considerato quale condizione di esigibilità del credito a titolo di TFR, ma che il diritto del lavoratore al pagamento dello stesso maturerebbe in corso di rapporto.
Per la cassazione di tale sentenza è stato proposto ricorso articolato su due motivi. In particolare, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente si lamentava del fatto che la Corte d’Appello di Milano fosse incorsa in una violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c. e dell’art. 2120 c.c. nonché della L. 297/82 e che la rinuncia al TFR da parte del lavoratore manifestata antecedentemente all’effettiva cessazione del rapporto sarebbe del tutto illegittima avendo ad oggetto un diritto non ancora entrato a far parte del patrimonio giuridico del lavoratore.
La Cassazione ha ritenuto fondato tale motivo sulla base del seguente ragionamento: la rinunzia può avere effetto abdicativo di un diritto in quanto risulti specificamente che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su di esso (in questo senso si veda Cass. n. 18094 del 2015) ed è ammissibile in riferimento a diritti già maturati e dal contenuto determinato (cfr. Cass. n. 3064 del 2013; Cass. n. 12561 del 2006; Cass. n. 9747 del 2005), ma nel caso di specie il diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto del lavoratore ancora in servizio è un diritto futuro per cui la rinuncia effettuata dal lavoratore è radicalmente nulla ai sensi dell'art. 1418 c.c., comma 2, e art. 1325 c.c., per mancanza dell'oggetto, non essendo ancora il diritto entrato nel patrimonio del lavoratore e non essendo sufficiente l'accantonamento delle somme già effettuato" (Cass. n. 23087 del 2015; conf. a Cass. n. 4822 del 2005).
In sostanza, secondo la Cassazione non si può rinunciare a un credito futuro e ciò perché il codice civile stabilisce che il contratto è nullo quando il suo oggetto non esiste. Oggetto che, in questo caso, è proprio la liquidazione del trattamento di fine rapporto. Ebbene, il diritto alla retribuzione del TFR del lavoratore ancora in servizio si considera un diritto futuro; pertanto la rinuncia effettuata dal lavoratore stesso è “radicalmente” nulla per mancanza dell’oggetto, non essendo ancora tale diritto entrato nel patrimonio del lavoratore.
Infine, conclude la Suprema Corte, non ha alcun rilievo l’assunto della Corte territoriale secondo cui vi sarebbe stata una “sostanziale contestualità” (nello specifico, 21 giorni di distanza) tra il momento della rinuncia all’integrazione del TFR e la cessazione del rapporto di lavoro, essendo comunque pacifico che al momento dell’accordo il rapporto di lavoro non era cessato e tanto basta a consentire l’applicazione del principio innanzi richiamato (cfr. Cassazione, Ordinanza n. 14510/2019).
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