La sottrazione di dati aziendali mediante copiatura su di una “pen drive” può costituire giusta causa di licenziamento

03 gennaio 2018

E' stato dichiarato legittimo il licenziamento in tronco di un lavoratore per aver copiato senza autorizzazione su una chiavetta USB alcuni dati aziendali, seppure tali dati non fossero coperti da specifici obblighi di riservatezza, né protetti da password ed il lavoratore non li avesse in alcun modo diffusi a terzi.

Questa la decisione della Corte di Cassazione nella recente sentenza del 24.10.2017, n° 25147.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto la condotta del lavoratore che aveva copiato documenti aziendali su un proprio dispositivo di archiviazione riconducibile alle ipotesi previste dall'art. 52 CCNL Chimici, applicato al rapporto di lavoro. Detta norma contrattuale sanziona con il recesso datoriale per giusta causa una serie di condotte, tra le quali il danneggiamento volontario di beni dell’impresa, il furto, il trafugamento di disegni, schede di proprietà aziendale.

Nel motivare la propria decisione la Corte di Cassazione ha rilevato che ai fini del perfezionamento della condotta sanzionata dal predetto art. 52 non fosse essenziale l'avvenuta divulgazione a terzi dei dati di cui il lavoratore si era indebitamente appropriato, essendo invece sufficiente la mera sottrazione degli stessi.

Allo stesso modo, è stata considerata irrilevante la circostanza che i dati sottratti non fossero protetti da specifiche password posto che, nel ragionamento della Corte, il libero accesso ai dati aziendali non autorizzava comunque il dipendente ad appropriarsene, creandone copie idonee a far uscire le informazioni al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro.

La Corte precisa però che non si configurerebbe, invece, nel caso di specie, una ipotesi di utilizzo improprio di strumenti di lavoro aziendali, per la quale il CCNL applicato prevedeva una sanzione disciplinare inferiore al licenziamento, c.d. conservativa.

Piuttosto, ad avviso della Corte, la condotta contestata al lavoratore aveva violato il dovere di fedeltà sancito dall'art. 2105 c.c., norma che stabilisce l'obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenziale lesività.

La portata della sentenza deve però essere correttamente intesa. Regole diverse valgono infatti nel caso in cui il lavoratore estragga copia di file o documenti aziendali che lo riguardino direttamente al fine di difendersi in una vertenza con il datore di lavoro.

In tale caso, infatti, il dipendente non viene meno al dovere di fedeltà sopra richiamato, poiché sul medesimo prevale il diritto di difesa. Si ritiene in tali casi peraltro operante la scriminante dell’esercizio del diritto (di cui all’art. 51 c.p.), che ha valenza generale nell’ordinamento, non limitata al mero ambito penalistico.

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