l’accesso al fascicolo personale è un diritto del lavoratore

20 giugno 2016

l’accesso al fascicolo personale è un diritto del lavoratore

Corte di Cassazione 07.04.2016, n. 6775

“Il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro”. Questo è quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 6775, depositata lo scorso 07 aprile.

Ma andiamo per gradi. La questione sottoposta all’esame degli Ermellini concerneva il ricorso di una lavoratrice che, a causa delle sue condizioni di salute (nello specifico, la dipendente aveva subito un intervento all’occhio che non le consentiva di riprendere le sue mansioni comportanti l’uso di videoterminali), era stata trasferita a svolgere mansioni diverse e da allora aveva ricevuto note negative sulle sue capacità professionali. Al fine di conoscere ed esaminare le motivazioni con cui erano state espresse tali valutazioni, la dipendente chiedeva più volte alla sua datrice di lavoro di poter accedere ai documenti che avrebbero dovuto far parte del suo fascicolo, senza, tuttavia, ricevere alcuna risposta. Il comportamento omissivo dell’azienda proseguiva anche (e addirittura) a seguito dell’intervento dell’Autorità Garante della Privacy che, con due distinti provvedimenti, aveva ordinato alla Società di consegnare immediatamente alla dipendente il fascicolo personale che la riguardava.

Da qui il ricorso in sede giurisdizionale diretto a ottenere l’accesso immediato a tutti i dati della lavoratrice, ovunque conservati, e a consentirne l’integrazione in caso di mancanze; a tali pretese si aggiungevano le richieste di risarcimento del danno.

La Cassazione, entrando nel merito della questione, da un lato, ha confermato l’obbligo del datore di lavoro di conservare un apposito fascicolo, con gli atti e i documenti più significativi relativi al percorso professionale del dipendente (ivi comprese le valutazioni e i documenti motivanti le stesse); dall’altro, ha stabilito che tutta tale documentazione deve essere facilmente e liberamente consultabile dal lavoratore interessato.

Nel caso in cui l’azienda neghi al dipendente l’accesso al fascicolo o alla documentazione relativa alla sua storia professionale e alle motivazioni che riguardano le valutazioni espresse dall’azienda, il dipendente può sempre rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali e, in seguito - ovvero nel caso in cui il datore non ottemperi a quanto impartitogli dal Garante - al giudice ordinario, chiedendo, in quest’ultimo caso, anche la condanna della società al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti per la condotta denunciata. Rivolgersi al Garante, prima, e all’autorità giudiziaria, poi, non costituisce, per la Corte, violazione in assoluto del principio di alternatività delle due tutele, oggi previsto dall’art. 145 del Codice della privacy (d.lgs. n. 196/2003), in base al quale la presentazione del ricorso al Garante rende improponibile (e quindi preclude) un’ulteriore domanda, tra le medesime parti, proposta dinanzi al Tribunale ordinario. Tale alternatività, infatti, deve essere riferita solo ed esclusivamente alle pretese aventi il medesimo oggetto e non anche – in coerenza con il principio di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) – al caso di un lavoratore che decida di ottenere una tutela risarcitoria di competenza (peraltro) del solo Tribunale ordinario.  

Non basta. Per la Corte di legittimità, indipendentemente dal danno subito, il lavoratore coinvolto ha diritto, in ogni caso, a ottenere il controllo da parte di un giudice sulla correttezza “dell’iter” seguito nel formulare le valutazioni di merito. Il datore di lavoro, infatti, non è libero nel trattare i dati personali dei dipendenti, ma è tenuto a rispettare specifiche modalità, come quella di trattare i dati secondo correttezza, liceità, pertinenza e necessità o adottare misure idonee a consentire l’accesso al suddetto fascicolo, al fine di permettere un’eventuale rettifica, aggiornamento o integrazione dei dati stessi. In particolare, nella pronuncia in commento, la Corte romana, nel fissare il principio di diritto cui dovrà attenersi, in sede di rinvio, la Corte d’Appello di Roma, ha stabilito chiaramente che può essere fatto valere in sede giudiziaria “il diritto del dipendente ad ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionali, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede”, indipendentemente da un danno o “da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore”.

 

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