Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito in quali casi il datore di lavoro che voglia procedere ad un licenziamento collettivo possa limitare la scelta dei lavoratori da licenziare ad un singolo settore aziendale.
Per comprendere la questione, è necessario ricordare che si parla di licenziamento collettivo (comunemente detto anche procedura di mobilità) ogniqualvolta un’azienda con più di 15 dipendenti intenda procedere a più di 5 licenziamenti nell’arco di un periodo di 120 giorni, in conseguenza di riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività.
In tale ipotesi, come noto, il datore di lavoro deve avviare una procedura (regolata dalla l. 223/1991) coinvolgendo le organizzazioni sindacali. Il tutto al fine di stabilire dei criteri che consentano di individuare i lavoratori da licenziare in maniera da minimizzare – per quanto possibile – l’impatto sociale dei licenziamenti, scongiurare scelte arbitrarie o discriminatorie da parte del datore di lavoro e garantire la massima trasparenza dell’operazione di riduzione di personale. Se non viene raggiunto un accordo sindacale, il datore di lavoro può comunque procedere al licenziamento, basandosi su criteri di scelta stabiliti (in linea generale) dalla legge.
Va da sé che la procedura di cui sopra risulta vanificata e violata ove il datore di lavoro – magari maliziosamente – individui in modo errato l’ambito entro il quale essa deve svolgersi.
È esattamente quanto si è verificato nel caso affrontato dalla sentenza della Cassazione n. 22788 del 9 novembre 2016.
In concreto, una grande cooperativa, a causa della cessazione di un appalto presso un autogrill, aveva dichiarato un esubero di lavoratori e, infine, licenziato tutti quelli (e solo quelli) addetti a quel particolare appalto.
I lavoratori avevano impugnato il licenziamento, evidenziando come fosse del tutto arbitraria e non sorretta da ragioni di carattere oggettivo (e pertanto illegittima) la scelta della cooperativa di individuare i lavoratori da licenziare solo tra quelli addetti all’appalto cessato: la cooperativa aveva molti altri dipendenti con mansioni del tutto simili in altre sedi; per scegliere i lavoratori da licenziare, pertanto, essa avrebbe dovuto prendere in considerazione tutti i lavoratori in posizioni simili a quelli addetti all’appalto e risultati in esubero (e solo a quel punto procedere ai licenziamenti secondo i criteri di scelta individuati da accordo collettivo o dalla legge).
La tesi dei lavoratori veniva accolta sia in primo grado che in appello.
Anche la Cassazione ha riconosciuto l’illegittimità dei licenziamenti, affermando che:
“in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, anche qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione dell'impresa. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti.”
Detto in altri termini: poiché la scelta dei lavoratori da licenziare deve fondarsi su criteri oggettivi e trasparenti, è illegittima la decisione dell’azienda di licenziare tutti quelli addetti ad un determinato settore o sede per il solo motivo che tale settore o sede è soppresso, a meno che l’azienda stessa non dimostri che sussistono delle specifiche ed oggettive ragioni che la obblighino a procedere in tal modo (ragioni che potrebbero consistere, ad esempio, nel fatto che i lavoratori addetti a quel settore o a quella sede non possono svolgere alcuna mansione negli altri settori o sedi aziendali, perché non hanno le competenze ivi richieste).
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