Licenziamento collettivo per chiusura di stabilimento: quali sono i criteri per l’individuazione dei lavoratori in esubero?
Con sentenza n. 4925 del 14.3.2016, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che qualora il licenziamento collettivo derivi da un progetto di ristrutturazione aziendale che abbia ad oggetto una sola unità produttiva dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati non può essere limitata agli addetti a tale unità. Il datore di lavoro, invece, ai sensi dell’art. 4, comma 3, L. n. 223/1991, deve indicare nelle comunicazioni preventive ai sindacati sia le ragioni che eventualmente lo spingano a ricercare i lavoratori da licenziare solo tra i dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga, piuttosto, di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento ad unità produttive geograficamente vicine a quella soppressa o ridotta. Solo tale informativa, spiega la Corte, consente alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti.
Il caso su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, traeva origine da una procedura per riduzione del personale avviata da una Società che aveva deciso la chiusura di uno dei propri stabilimenti. La Società, in particolare, intendeva procedere al licenziamento degli 84 dipendenti addetti allo stabilimento in chiusura. Non avendo raggiunto un accordo con i sindacati, l'azienda comunicava che l'unico criterio adottato per la scelta dei lavoratori da licenziare era costituito dall'appartenenza all'organico dello stabilimento in questione. Alcuni dei lavoratori licenziati proponevano, innanzi al Tribunale competente, ricorso ex art. 1 comma 48 L. 92/12 per l'accertamento dell'illegittimità dei licenziamenti subiti. Essi sostenevano che la decisione aziendale di restringere la platea dei licenziati all'organico dello stabilimento poi chiuso era illegittima in quanto i criteri selettivi legali di cui all'art. 5 comma 1 L. n. 223/91 (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecniche organizzative e produttivi) dovevano essere applicati con riferimento a tutti i lavoratori con analoghi profili operanti presso i vari stabilimenti della Società dislocati sul territorio nazionale. Il Tribunale respingeva il ricorso e successivamente rigettava anche l'opposizione proposta dai lavoratori. Questa decisione veniva confermata, in sede di reclamo, dalla Corte d'Appello. I lavoratori proponevano ricorso per Cassazione, censurando la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 5, commi 1 e 3, della legge n. 223/91.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 4925 del 14.3.2016, ha accolto il ricorso e, ribaltando le tre decisioni precedenti, ha osservato che non vi è spazio per una restrizione all'ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto della iniziativa datoriale pura e semplice, perché ciò finirebbe, nella sostanza, con l'alterare la corretta applicazione dei criteri stessi. Secondo la Suprema Corte, la delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative poste a base del licenziamento, che devono essere esplicitate nella comunicazione ai sindacati di cui all'art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, o le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori tra cui selezionare.
Secondo il ragionamento della Suprema Corte, risulta dunque arbitraria e pertanto illegittima ogni decisione unilaterale del datore diretta a limitare l'ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale.
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