Licenziamento individuale dopo la procedura di riduzione del personale

19 marzo 2020

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 808/2020, affronta il caso di un lavoratore licenziato per ragioni economiche poco tempo dopo la fine di una procedura di riduzione del personale adottata dalla medesima azienda.

Nello specifico, una società aveva deciso di ridurre l’organico e, all’effetto, aveva avviato procedura di licenziamento collettivo. Nel corso di tale procedura, essa aveva raggiunto accordo con le rappresentanze sindacali, concordando, come unico criterio di scelta per individuare i lavoratori da licenziare, quello della libera adesione dei lavoratori stessi. Di fatto, pertanto, la società avrebbe potuto licenziare (ed in effetti licenziò) solo coloro che avessero manifestato interesse e disponibilità a cessare il rapporto di lavoro.

Poco dopo (purtroppo la sentenza non indica quanto tempo esattamente fosse trascorso, ma verosimilmente si trattava di pochi giorni o poche settimane), la società adottava un licenziamento individuale nei confronti del sig. C., sulla base delle stesse motivazioni su cui si fondava la procedura di licenziamento collettivo appena esaurita.

Il licenziamento veniva impugnato e dichiarato nullo, in quanto ritorsivo (una delle fattispecie più gravi di invalidità del licenziamento) in primo grado; la sentenza veniva però riformata in secondo grado dalla Corte d’Appello, che dichiarava il licenziamento solo illegittimo (con conseguente riduzione della sanzione a carico del datore).

A seguito di ulteriore impugnazione, la Corte di Cassazione, nella sentenza citata in esordio, ribadisce anzitutto l’illegittimità del licenziamento in esame, chiarendo che la rigorosa procedura legale che disciplina i licenziamenti collettivi sarebbe priva di effettività se fosse consentito al datore di lavoro di tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori licenziamenti individuali adottati dopo l’esaurimento della procedura, ma per le stesse ragioni tecnico-organizzative o produttive per le quali la procedura era stata avviata. Così facendo, del resto, aggiunge la Corte, il datore renderebbe perfino superfluo il confronto con le organizzazioni sindacali e l’eventuale accordo, finalizzato proprio ad individuare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nell’ambito della riduzione del personale. L’accordo sindacale rimarrebbe infatti frustrato ove si riconoscesse al datore la possibilità di disporre, poco dopo e per le medesime ragioni, licenziamenti ulteriori ma fuori dai criteri concordati con le OO.SS.

La sentenza si conclude affermando che, ove vi sia la prova del carattere ritorsivo del licenziamento, non è sufficiente che il datore di lavoro alleghi l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ma è necessario che quest'ultimo risulti comprovato e che, quindi, possa da solo sorreggere il provvedimento espulsivo, malgrado il concorrente motivo illecito.

Poiché nella fattispecie il datore non aveva assolto all’onere suddetto, secondo la Cassazione il licenziamento doveva essere dichiarato ritorsivo, con applicazione delle (più gravi) sanzioni, tra cui la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro ed il pieno risarcimento dei danni subiti.

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