Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repechage

23 gennaio 2020

Con la recente sentenza n. 29099 del 11 novembre 2019, la Corte di Cassazione torna sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e sui limiti del cosiddetto obbligo di repechage.

Come noto, la legge consente al datore di lavoro di procedere al licenziamento di un lavoratore per ragioni oggettive (altrimenti dette ragioni economiche), consistenti, ai sensi dell’art. 3 della l. 604/1966, in motivi inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Tali ragioni devono essere esplicitate in modo preciso e circostanziato nella lettera di licenziamento e, ove siano contestate in giudizio da parte del lavoratore, incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrarne la sussistenza.

Secondo la giurisprudenza risalente e ormai assolutamente consolidata, peraltro, il datore di lavoro che abbia effettuato un licenziamento per motivo oggettivo deve altresì dimostrare in giudizio che il lavoratore licenziato non potesse essere utilmente adibito ad una sede di lavoro diversa o ad altre mansioni, anche eventualmente inferiori a quelle precedentemente disimpegnante. In altri termini, il datore di lavoro sarebbe autorizzato a procedere al licenziamento solo dopo aver vanamente tentato di adottare quei provvedimenti che, senza comportare ampliamenti di organico o innovazioni strutturali o rilevanti modifiche organizzative, avrebbero consentito di evitarlo. In ciò si sostanzia l’obbligo di repechage.

La fattispecie costituisce spesso terreno di scontro tra il lavoratore licenziato, il quale spesso fonda la sua domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento subito (anche) sostenendo che avrebbe potuto essere adibito ad altre mansioni all’interno dell’azienda, coerenti con le sue competenze, e il datore, il quale risponde che le decisioni attinenti l’organizzazione dell’impresa sono suo esclusivo appannaggio, rientrando nel potere discrezionale che la legge gli riserva.

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato che il predetto obbligo – che viene comunemente chiamato “obbligo di repechage” – può considerarsi definitivamente assolto dal datore di lavoro nel caso in cui egli abbia proposto al lavoratore la sua adibizione a mansioni di livello inferiore, quale unica alternativa al licenziamento, e abbia ricevuto dal lavoratore medesimo un esplicito rifiuto.

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