LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E TUTELA APPLICABILE TRIBUNALE DI TORINO, SENTENZA 13.11.2019, N. 1676

30 gennaio 2020

“Il mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro - elemento costitutivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo - comporta l’applicazione della disciplina di cui al comma 4 dell’art. 18 SL, consentendo al giudice di disporre la reintegra del lavoratore”. Questo è quanto ha stabilito il Tribunale di Torino con la recente sentenza n. 1676, pubblicata lo scorso 13.11.2019, in assoluta conformità all’orientamento da ultimo espresso dalla Suprema Corte (così, Cass. 2 maggio 2018, n. 10435).

Se nessuno dubita che la riorganizzazione e il nesso di causalità siano elementi interni alla fattispecie del motivo oggettivo, lo stesso non può dirsi rispetto all'obbligo datoriale di valutare ogni possibile ricollocazione alternativa al licenziamento, non essendo quest’ultimo un elemento espressamente previsto dall’art. 3, L. n. 604/1966. Ma andiamo con ordine.  

Prima dell’ormai noto “Pacchetto Renzi” e dell’introduzione del contratto a tutele crescenti, l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori – ancora oggi applicato ai dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 – è stato fortemente modificato dall’allora Ministro Fornero (art. 1 della Legge n. 92/2012) che per la prima volta ha ridefinito il quadro sanzionatorio applicabile alle ipotesi di licenziamento ingiustificato, rendendo la tutela reale eccezione alla regola e sanzione applicabile in ipotesi limitate di illegittimità tassativamente indicate dal legislatore. In altre parole, dalla novella dell’art. 18 Legge n. 300/1970, la reintegra del dipendente non rappresenta più l’automatica conseguenza dell’accertamento dell’ingiustificatezza del licenziamento, ma si configura come una tutela residuale, invocabile in presenza di determinati presupposti, che lascia spazio a quella che, nell’impianto normativo, costituisce la regola del sistema sanzionatorio, ovvero la tutela meramente indennitaria. Ciò è valido tanto per l’ipotesi di licenziamento soggettivo, quanto, per quel che qui interessa, nel caso di recesso intimato per ragioni oggettive, in presenza del quale l’art. 18, comma 7 SL opera una distinzione della sanzione a carico del datore di lavoro in base al tipo e alla intensità della violazione da questi commessa, prescrivendo che la reintegrazione “può” essere applicata dal giudice soltanto qualora accerti la “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”. Nel mutato contesto legislativo ha assunto, evidentemente, ruolo centrale la nozione di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, intorno alla quale si è sviluppato un forte dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sfociato, appunto, nella pronuncia n. 10435 del 2 maggio 2018 della Corte di Cassazione, già sopra richiamata.

 

È nel quadro descritto che si inserisce la sentenza del Tribunale qui commentata, decisamente in linea con quanto stabilito dalla Suprema Corte. Il Giudice di Prime Cure, dopo aver ben argomentato (e altresì riportato) l’evoluzione del dibattito giurisprudenziale esistente, ha chiarito che “nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore”, il cui onere probatorio negativo, anche di tipo indiziario, incombe sullo stesso datore di lavoro. A fronte di una siffatta nozione complessa di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, frutto del lavorio giurisprudenziale, il Tribunale si è interrogato sulla reale portata applicativa dell’art. 18, comma 7, Stat. Lav. ed, in particolare, sulla possibilità di una residuale operatività della tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui manchi, com’è nella fattispecie concreta, uno dei due presupposti di legittimità, ovvero non venga assolto l’onere probatorio relativo all’obbligo di repêchage. Posto che il riferimento legislativo al “fatto” sopra richiamato, deve intendersi effettuato alla nozione complessiva di giustificato motivo oggettivo, per come elaborata dalla giurisprudenza consolidata, il Tribunale osserva che, una volta accertata l’ingiustificatezza del licenziamento per carenza di uno dei due presupposti di legittimità (e dunque anche dell’onere di repêchage), spetta al giudice di merito, ai fini dell’individuazione del regime sanzionatorio, verificare se sia manifesta, ossia evidente, l’insussistenza anche di uno solo di essi.

Ebbene, nel caso di specie, “essendo emerso chiaramente in giudizio che la datrice non ha verificato concretamente la possibilità di assegnare la ricorrente ad altro posto di lavoro, tanto che il legale rappresentante della società convenuta ha affermato di dover verificare, al momento dell’udienza, se vi fossero posti liberi sugli appalti in essere,  ha ritenuto “manifesta ed evidente l’inottemperanza del datore di lavoro all’obbligo di repêchage” ed ha pertanto applicato la tutela di cui all’art. 18, co. 4 SL, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice e al pagamento della massima e relativa indennità risarcitoria.

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