Quando un reato commesso prima dell’inizio del rapporto può giustificare un licenziamento
21 aprile 2020
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3076/2020, del 10.02.2020, rifacendosi ad un suo precedente orientamento (Cass. n. 24259/2016), ha confermato il principio secondo cui, in caso di condotta extra-lavorativa costituente reato, accertato successivamente con sentenza passata in giudicato, che rileva sul rapporto di lavoro a prescindere da apposite previsioni del contratto collettivo e commesso quando il rapporto di lavoro non era ancora in essere, la verifica sul carattere di illeceità non deve essere rapportata alla responsabilità disciplinare, non configurandosi un obbligo di diligenza e/o di fedeltà ex art. 2104 e 2015 c.c., ma deve essere parametrata alla rilevanza giuridica che il comportamento del soggetto può rivestire, con riguardo al “disvalore sociale oggettivo del fatto commesso nel contesto del mondo aziendale”, in virtù di una non perfetta sovrapponibilità tra sistema penale e sistema disciplinare, al fine di evitare che ogni condotta, comunque accertata come reato sia considerata illecita e quindi idonea a giustificare un licenziamento.
Sulla base del suddetto principio, una volta che il giudice ha accertato che non sussista una giusta causa di licenziamento, per determinare la disciplina sanzionatoria da applicare sulla base dell’art. 18, L. 30071970, deve valutare se il fatto addebitato, certamente sussistente nella sua materialità, presenti o meno i caratteri di illeceità ovvero se la fattispecie rientra nell’ambito operativo delle “altre ipotesi” di cui all’art. 18, co. 5 legge n. 300 del 1970, che giustifica una tutela indennitaria forte ma non quella reintegratoria di cui al co. 4.
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